martedì 28 febbraio 2012

Giancarlo Paglialunga: "T'amai"

Carissimi lettori, oggi ho il particolare piacere di recensire il pregevole lavoro di Giancarlo Paglialunga, intitolato "T'amai" ed uscito l'anno scorso per l'animamundi.

Ve ne parlerò con i brani a zig zag, ma ve ne parlerò comunque in maniera completa.

La prima traccia di cui abbiamo il piacere di parlare (ed è piacere vero, è festosa, anche se magari il virtuosismo esagerato della fisarmonica di Rocco Nigro e del violoncello di Redi Hasa la fanno un po' reprimere, peccato!) è "Ahi quante pene", uno stornello dove si utilizza la tecnica di canto degli Ucci, gruppo d'anziani di Cutrofiano (LE), con la tipica sfida tra due voci, ognuna dedicata ad un distico. Qui la sensazione è ancora più forte, perché le due voci sono quella ruvida di Paglialunga e quella dolce ma potente di Rachele Andrioli (ex cantante degli Officina Zoè, che qui trova finalmente un suo contesto, forse tra lei e Cinzia non c'era empatia vera...).

Continuando si va alla traccia d'apertura del cd, che viene ripresa dal film "Pizzicata" di Edoardo Winspeare. Lì viene interpretata in maniera pregevole dalla voce atavica di Pino Zimba e (credo) da una acerba, ma già brava, Cinzia Marzo. La versione che ne dà Paglialunga, sempre coadiuvato dalla notevole voce di Rachele, è resa forse un po' troppo contemporanea (come se il "contemporaneo" potesse essere elevato a categoria astratta o quasi) dai soliti accompagnamenti di fisarmonica e violoncello. Va comunque riconosciuto ai due strumentisti che molto raramente si lasciano prendere la mano, in fondo eseguono un leggerissimo "basso" che dà più corpo al canto, che resta libero come era nella vera tradizione salentina dei canti polivocali.

Il testo di questo brano, pur non essendo tra i più noti della tradizione salentina, è reperibile in versioni pregevoli come quella del Canzoniere Grecanico Salentino (a guida Daniele Durante) che la registra nel cd "Alla riva del mare" col titolo di "Lu carderaru".

Andando avanti con il cd di Paglialunga, si ascolta una bella versione de "La cerva", sulla melodia cantata tra gli altri da Giovanni Avantaggiato. La canta completamente Rachele, e fa piacere sentire questa voce al contempo limpida e potente (seppure senza l'imprevedibilità magica di quella di Cinzia).

Andando avanti si ascolta, nel cd la trovate alla fine, una bella (sarebbe meglio che la fisarmonica non fosse proprio entrata!) versione della "Pizzica di Tora Marzo". Qui non si fa un omaggio all'orchestrina di Stifani (come accadeva nella forse migliore interpretazione di Anna Cinzia Villani nel cd "Ninnamorella", uscito sempre per l'Animamundi nel 2008) ma a salvatora Marzo, detta "Za Tora", che ha insegnato a Paglialunga la tecnica di tamburello.
La fisarmonica addirittura fa un giro in minore, insomma a me non arriva.
Sulla stessa traccia, e qui miglioriamo assolutamente, abbiamo una "Vorrei volare", brano che omaggia, come si era visto per "Ahi quante pene", gli Ucci. Questo, a differenza dell'altra traccia a cui è stato paragonato, omaggia la "seconda vita" del "patriarca della pizzica", ossia gli ultimi anni di Uccio Aloisi.
Le due voci, Paglialunga e la Andrioli, si rimpallano le strofe, ma non fa contrasto la differenza di tonalità.

Su un ritmo di pizzica lenta portata con una botta particolare che alterna un battito più debole ad uno più forte, arriva "Puttana le pardisti le carizze". Questa canzone in fondo è la versione "integrale" di "Quantave", raccolta da Brizio Montinaro nel suo storico lavoro, portato avanti negli anni Settanta, ed uscito sotto il titolo di "Musiche e canti popolari del Salento" in vinile per l'Albatros, poi in cd grazie alle Edizioni Aramirè di Lecce.
Il brano è interpretato da Dario Muci e Giancarlo Paglialunga, con l'aiuto fondamentale di Claudio Pusterla al secondo tamburello (il primo ovviamente è Paglialunga stesso).
Qui il canto calcato di Muci non dà fastidio (io ovviamente preferisco chi non calca) perché non ha sotto gli strumenti moderni (e lo sapete che secondo me se tu vuoi cantare moderno devi suonare moderno, non puoi cantare tradizionale, ossia imitando gli anziani e poi farti accompagnare da una batteria, un basso e una tromba!).

Andando avanti si ricorda Pino Zimba, ma non nel periodo di successo con l'Officina, bensì con uno di quei canti del suo repertorio "di famiglia" intitolato "Quando lu Zimba face lu pane", qui chiamato solo "Quando lu Zimba". Fa strano sentire il tamburello che inserisce delle terzine nel ritmo di valzer, ma non dà fastidio. Per ascoltare questo brano basta andare sul canale delle Edizioni Animamundi su Youtube all'indirizzo www.youtube.com/animamundiedizioni.

Andando avanti si ascolta una bella "Rindineddha", dove inizialmente il violoncello esegue il semplice basso, per poi, quando entra una bellissima tammorra muta che innesta atmosfere portoghesi, eseguire dei "pizzicati", a cui ogni tanto vengono affiancati degli assoli con l'arco tramite le sovraincisioni. Il canto è molto diretto, è romantico, rivaluta il tipico modo lidio con la quarta aumentata sulla scala (in pratica se siamo in la, come in questo caso, al posto del re abbiamo un mibemolle).

Andando avanti arriva un brano che io reputo forse tra i meno riusciti di questo cd, una "Rumba del carcerato" (chi mi conosce sa la mia proverbiale allergia agli arrangiamenti latino-americaneggianti del folk italiano, ad ognuno il suo, grazie!).
La melodia è una delle più utilizzate dagli anziani e una delle meno riproposte (meglio!), per ascoltarla con un testo diverso e cantata da una contadina, Pippina Guida per la precisione, si può andare a cercare il cd "'Ttacca banda" dei Ballati Tutti Quanti (2005, autoprodotto).
Il tamburello non dà nemmeno fastidio, solo che l'esagerazione delle armonie della fisarmonica e degli arrangiamenti del violoncello purtroppo spesso rendono l'ascolto abbastanza pesante.

Il nostro giro continua con "Su rrivatu a San Frangiscu", che Paglialunga riprende direttamente dal repertorio di Uccio Bandello, riportato dagli Aramirè nel loro disco "Bonasera a quista casa" del 1999. La versione di Paglialunga, d'altronde già da lui interpretata con la Salentorkestra, è libera a livello di canto ed è accompagnata da una terzina di pizzica molto arricchita.

E, per finire, arriva la traccia che dà il titolo al cd, che Paglialunga riprende dalle registrazioni di Ernesto de Martino, edite dalla Squilibri e curate da Maurizio Agamennone. La versione di Paglialunga è semplice e gradevole, fa solo strano (ma non è fastidioso) il contrasto tra violoncello e cupacupa.

Nell'insieme è un bel disco, si gode bene, certo non ha la festosità che molti di questi brani hanno (almeno per me) nelle loro versioni tradizionali.

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