domenica 2 agosto 2009

Malicanti a Trevi

Carissimi lettori, è con molto piacere che torno a scrivere questa mattina. Vi parlerò, andando un po' a zig zag, del bellissimo concerto dei Malicanti, gruppo di cui si è già parlato ma che conviene ricordare.
Il concerto si è svolto a Trevi nel giardino d'una villa costruita tra XVII e XVIII secolo, all'interno del World music festival.
La piazza era quasi piena, eravamo poco più di centottanta persone ma c'è stato un clima da vera festa popolare.
Il gruppo, che contrariamente a molti ensemble popolari attuali è didattico e insegna a distinguere le varianti senza annoiare, per ogni brano raccontava una storia con cui ti permetteva di capire o parti del testo, o da dove provenivano certi stili contadini che poi venivano usati, o, comunque, le atmosfere tipiche delle zone della Puglia da cui i suoi componenti provengono.
Va ricordato infatti che il gruppo tiene molto a precisare d'aver imparato tutto ciò che sa dagli anziani, e chiaramente si limita ai repertori delle zone di provenienza concreta dei suoi componenti (non essendoci nessuno della Grecìa, ad esempio, ogni riferimento al griko è mancato).
Il concerto si è aperto con una "Oi rosa", solo apparentemente simile a quella incisa nel cd "Canti tradizionali delle Puglie", unico disco inciso dal gruppo. Nei due casi, e in generale per tutto il concerto, si è avuto un uso massiccio della chitarra battente, ma le strofe che si cantavano erano spesso e volentieri diverse (d'altronde sono anche passati quattro anni dall'incisione in questione). Il brano, essendo di provenienza brindisina, è stato interpretato magistralmente da Daniele Girasoli, nato in provincia di Brindisi a San Pancrazio salentino.
Subito dopo si è potuta apprezzare la bravura di Anna Invidia, grande nuova voce della musica popolare salentina, in uno dei classici indiscussi di questa tradizione, la bellissima "Pizzicarella". Se dovessi paragonare questa versione a qualcosa di pubblicato, citerei la stupenda rielaborazione del brano presente nel cd "Opillopillopì" degli Aramirè. L'interpretazione, come tutte quelle del gruppo, è basata su stilemi contadini, rispettati profondamente ma anche un pochino "ripuliti" (non edulcorati).
Subito dopo si è fatta la prima capatina nel Gargano, terra di cui i Malicanti subiscono molto profondamente il fascino, anche perché varie persone che ruotano intorno a questa compagine musicale provengono da quella zona.
Quando si pensa a quelle tarantelle, inevitabilmente il ricordo vola ai Cantori di Carpino, il cui maggiore leader e fondatore, il grande chitarrista Andrea Sacco, è stato maestro diretto di Enrico Noviello, colui che coordinava tutto il concerto con una semplicità ed una tenerezza disarmanti.
Il primo esempio carpinese offertoci è stata una "Montanara", quel giro d'accordi che ormai tutti credono legato ad un testo solo, quel bellissimo "E comme je ja fà pe' amà sta donni" reso famoso trent'anni fa dalla Nuova Compagnia di Canto Popolare.
I Malicanti, nell'interpretazione del repertorio garganico hanno due voci ben distinte. Oltre ad Enrico Noviello, anche esimio battentista, chi era a Trevi ha potuto scoprire Adriano (scusate se non so il cognome, loro l'hanno sempre presentato così). Se lo stile di Noviello pur nella sua profonda ruralità è pulito e personale, lo stile del secondo cantore ricordava quello quasi gridato dell'appena deceduto Antonio Maccarone.
Del Gargano il gruppo ci ha poi offerto anche una "rodianella", presentata come il ritmo preferito da Andrea Sacco per la sua giovialità, ed una "viestesana" basata su interessanti "calate" di quarti di tono, a cui oggi non siamo abituati ma che erano l'essenza del vero canto contadino.
I testi dei "sonetti" carpinesi sono, e non poteva essere altrimenti, in moltissimi casi di tematica romantica, perché a Carpino, ed in parte succede ancora oggi, la serenata era talmente importante che era il solo mezzo, o il più convincente, che un amante aveva per far capire alla propria amata quanto fosse grande il suo amore.
Da quelle terre viene anche una "Sangiuvannara", tarantella di San Giovanni rotondo, di tematica più piccantina e meno romantica, caratterizzata anche dall'uso dell'organetto (che in teoria nel folklore carpinese sarebbe assente, anche se i Malicanti hanno fatto uso dello strumento durante la "viestesana").
Dedichiamoci ora, sempre a zig zag ma con maggiore dovizia di particolari, al repertorio di zona brindisino-leccese, portato prevalentemente da Daniele Girasoli e Anna Invidia.
Sono rimasta piacevolmente colpita, mentre me la cantavo a squarciagola come ho fatto con tutto quel repertorio, dalla presenza in scaletta di "Mieru". Questo brano, a me prevalentemente noto nelle versioni di cantanti che fanno "liscio alla salentina" come Bruno Petrachi, sia in questa versione che in quella di Uccio Aloisi in "Mara l'acqua", acquista un fascino ed un'autenticità disarmanti. Il brano, valzerino spassoso, è un inno al vino e al suo potere di far scordare le fatiche (sicuramente è meglio delle droghe sintetiche con cui in molti, oltre a scordarsi ciò che li circonda, si ammazzano!).
Passando alla zona brindisina, notevole è l'interpretazione della "Pizzica di San Vito", imparata dai Malicanti direttamente da "mesciu" Vincenzino Vita, barbiere che suonava sia violino che mandolino.
Interessante è stato il quarto di tono del violino durante la parte meno terzinata del suo intervento, positiva è stata, finalmente, l'introduzione del terzo accordo d'accompagnamento che nell'incisione su cd manca, provocandomi un senso di profonda insoddisfazione.
La versione dei Malicanti è partita lenta, per poi arrivare al ritmo medio d'una pizzica, quello che molti gruppi, purtroppo anche Zoè, ogni tanto ritengono troppo lento.
Presentato da Enrico Noviello con moltissima tenerezza, è arrivato anche il momento del ricordo di "Zimba". Il brano che ci ha permesso di ricordarlo è stata un'"Aria caddrhipulina" interpretata da Anna Invidia con maestria e sentimento. Nel ritornello, sintomatico della personalità sofferta ma gioviale dell'aradeino, io mi sono divertita a cantare, per la verità l'ho cantata tutta. Il brano, contenuto nel primo cd degli Zimbaria, è diviso in parti lente (strofe) e in un ritornello a tarantella (non a pizzica pizzica), dove questo ritmo si vive in maniera festosa.
Notevole, io la avevo sentita solo in versioni deludenti, la "Pizzica di Torchiarolo", che ha avuto in Anna Invidia un'interprete meravigliosa. Il ritornello, basato su vocalizzi, era semplicissimo da seguire, difatti, dato che riprendeva la melodia della strofa, io l'ho subito cantato.
Meravigliosi anche gli stornelli "salentini", secondo la denominazione di Uccio, interpretati dall'Invidia alla maniera di Anna Cinzia Villani, anche se in modo meno marcatamente rurale.
Interessantissima, perché costituiva un esempio di pizzica parte in minore e parte in maggiore, la "disputa" tra la "Pizzica di Carovigno", interpretata da Girasoli, e una delle varianti leccesi (che non riesco a ricordare) interpretata dall'Invidia.
Per tutto il concerto l'organetto di Valerio Rodelli ha dimostrato il suo virtuosismo, semplice ed accattivante, virtù ormai abbastanza persa dai signori dell'organetto da "conservatorio".
Enrico Noviello, grande interprete garganico, ci ha dato, alla fine, la buonanotte alla Andrea Sacco, riprendendo il giro di montanara in mi minore, interpretando il "sonetto" noto come "Chi nun capisce l'amore nun capisce nente".
Subito dopo, dato che noi scalpitavamo perché avevamo amato molto tutta la serata, si è avuta una bellissima "Pizzica tarantata", brano che il gruppo, al contrario di Zoè, esegue cantando le strofe proprie di Luigi Stifani, il musicoterapeuta che utilizzava questo nome per definire la sua pizzica.
Citazione a parte, merita il momento dedicato ai "canti alla stisa", quelli che veramente accompagnavano il lavoro dei contadini. I Malicanti ce ne hanno offerto un commovente esempio con "La rucita di mare", versione specifica di San Pancrazio salentino de "Lu rusciu de lu mare". Purtroppo non ve la posso descrivere, posso solo dirvi che è molto bella.
Altrettanto a parte, forse perché mi ha commosso particolarmente, cito "E malidettu lu cinquanta", canto che veniva direttamente da "Le memorie della terra". Il brano è costituito da un documento inciso da Alan Lomax nel 1953 a tempo di tarantella, alle cui strofe sono intervallate altre eseguite lentamente. Non è forse un brano sspudoratamente politico, ma ci ricorda che questa gente, dato che soffriva, con la sua musica ci cantava anche le sue sofferenze. Se noi amiamo il folklore come cosa viva, dobbiamo tornarlo a fare.
Non pretendo di avervi dato neanche lo zero per cento di quello che vi siete persi se non c'eravate, spero solo di farvi venire la voglia di vedere i malicanti quando passano dalle parti vostre: vale davvero la pena!

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