mercoledì 24 giugno 2009

I Calanti "W ci zumpa"

Carissimi lettori, questa sera debbo scrivere, perché ho finalmente ricevuto il cd + dvd de I Calanti "W ci zumpa".I Calanti è uno dei gruppi più interessanti all'interno del panorama della riproposta salentina, ed è reperibile agli indirizzi internet http://www.icalanti.com/, www.myspace.com/icalanti e www.myspace.com/icalanti-pizzica.Il dvd, che è contenuto nello stesso disco che contiene i brani audio, si apre, come il cd, con la "carmina", tarantella spassosa, che però contiene spunti tragici perché, anche se la versione del gruppo non lo fa sospettare, il protagonista in alcune versioni, riesce ad ottenere l'amore della propria amata solo quando muore. Subito dopo, il gruppo ugentino ci propone una vibrantissima e coinvolgente versione di "Ahi lu core meu", altrimenti conosciuta come "Pizzica di Ugento".
Le strofe, come sempre nel gruppo, sono in parte del patrimonio comune, in parte di quello della famiglia Colitti, a cui appartiene gran parte del gruppo, il cui nonno veniva soprannominato "Lu calante", ecco spiegato il nome del gruppo.
Ed ecco, a seguire, rallentando di poco il ritmo, una bellissima versione di "Ninella de Calimera", intitolata "Zumpa ninella". Tra le strofe, quasi mai riprese dagli Ucci, si ripete il ritornello "Zumpa ninella, ninella, ninà, zumpa ninella beddrha mia ci t'aggiu fà". La variante comune invece è: "Zumpa ninella, ninella, ninà, zumpa ninnella ricciolina e lariulà".Cosiccome nella tradizione, le strofe di questa tarantella, sono di contenuto "romantico-piccante".
Il finale, per costringere i ballerini a "zumpare" forsennatamente, è portato a pizzica.
Ed ecco la prima effettiva sosta nel ballo, con la bellissima versione dei Calanti di uno dei più grandi classici della tradizione salentina "Lu rusciu de lu mare".
Per chi conosce la musica popolare salentina di "riproposta", questa versione potrebbe ricordare molto da vicino quella degli Aramirè, ancora più arricchita ed elaborata, con due chitarre che si rimpallano nell'accompagnare Irene Colitti, voce femminile del gruppo, nella sua sanguigna e semplice interpretazione. Da citare è anche il sostegno, prevalentemente sui bassi, della fisarmonica di Simone Colitti. Nelle parti finali di ogni strofa, poi, troviamo il controcanto di Daniele Colitti.
Le varianti particolari fatte sull'ultima strofa, dove il terzo "vola" viene troncato e "jeu lu core meu te l'aggiu dare" viene detto una volta sola, non fanno mancare il romanticismo di cui ha bisogno questa versione.
Come fanno quasi tutti, anche i Calanti continuano il brano, con una versione in minore, ispirata a quella creata dagli Alla Bua alla fine degli anni Ottanta. Qui, per fortuna, invece di usare astrusi ritmi mediterranei, si preferisce utilizzare quello salentino della pizzica. Il romanticismo, secondo me alla base di questo brano, perché presente in ogni sua parola, nelle versioni velocizzate se ne va un po' via, ma se si vuole far "zumpare" la gente bisogna fare così. Comunque, signori, questa versione a pizzica, non è assolutamente male. Gli aspetti della trama della canzone che riecheggiano la Spagna e la turchia, sono presenti con gli assoli di chitarra flamenca molto buoni.
Subito dopo, presentata dalla potente voce di Daniele Colitti, arriva "Lu pulice", melodia molto poco frequentata dai gruppi di riproposta vicini alla tradizione, in compenso rovinata da una delle tante edizioni della Notte Della Taranta.
Le strofe, però, come era stato già notato per "Zumpa ninella" rispetto alla "Ninella de Calimera" degli Ucci, sono completamente diverse da quelle presenti nell'"Italian treasury Puglia: the Salento" di Alan Lomax e nella Notte Della Taranta, che d'altronde si limita a ricopiare, rovinando l'arrangiamento, il documento citato.
Lo stile dei Calanti è molto basato sull'improvvisazione, infatti l'attacco di "Ci vorrebbe una zitella", canto tra i meno noti per lo meno per chi vive fuori dal Salento, è completamente diverso, nelle sue note, da quello presente nel corrispondente cd audio.
L'interpretazione dei Calanti, sarà il caso di dirlo, non è sicuramente filologica a livello di uso della voce principale, ma è assolutamente ineccepibile a livello di controcanti, ed è tra le migliori che io possa conoscere.
La particolarità dei Calanti, si sarà già notato, è l'assenza del violino, che, invece di essere usata come pretesto per l'intrusione di strumenti estranei come negli Alla Bua, è utilizzata per dare il giusto risalto senza renderla invadente, alla chitarra classica, strumento che nella musica popolare salentina, di solito, è abituata a fare un ruolo di strumento comprimario.
Ancora una volta, nel brano successivo, "Ttuppe ttuppe", melodia comunemente ripresa dalla versione degli Ucci anche se non particolarmente cantata nel Salento, le strofe sono diverse o comunque variate rispetto alla versione su citata, contenuta nel cd "Bonasera a quista casa" pubblicato dalle Edizioni Aramirè di Lecce.
Ed ecco qui, su una variante di pizzica di cui non so esattamente la denominazione, una bellissima pizzica "a botta" subitamente seguita dalla ripresa dello stesso tema accompagnato dagli strumenti. Il brano, sempre composto da strofe tradizionali, si intitola "Te l'aggiu tittu", ed è di tematica romantica, e contiene anche alcune strofe utilizzate comunemente nelle serenate.
Ed eccoci, con lo stesso ritmo di "Ttuppe ttuppe", adf un bran intitolato "Ricciolina", con strofe di tematica varia, sempre tradizionali, come tutto il migliore repertorio del gruppo.
Se si volesse trovare un difetto ai Calanti, infatti, si potrebbe dire che non sanno comporre brani, se si cerca, come faccio io, nella pizzica testi con tematica profonda.
I loro testi, infatti, per ciò che conosco io, oltre a raccontare la storia della loro famiglia, importantissima per apprezzarli in pieno, si limitano ad esaltare il tamburello, il Salento e la pizzica. (Scusate la schiettezza ma questo è un po' troppo poco!).
Il prossimo brano, pizzica spesso basata su strofe usate anche da Otello Profazio nella sua "Tarantella cantata", si chiama "'Mparinatu". E' una pizzica in maggiore, dove, per dimostrare che comunque ci sanno fare e vogliono che la gente "zumpi" ma con rispetto, fanno delle pausette di ritmo molto accattivanti.
Ecco un brano molto simile ad uno stornello, intitolato "lu male". E' un collage di strofe, spesso piccantine, unite da una frase che ricorda che solo l'amore può curare i mali del cuore.
In questo concerto i Calanti dimostrano tutta la loro bravura, i brani vengono rivissuti, non stravolti, con la semplicità di un'orchestrina popolare, ma con l'abilità di suonatori coscienti che il mondo è cambiato, e che alcune sfumature così caratteristiche dell'antico canto salentino, oggi non si accettano più.
Nello spettacolo dei Calanti, c'è anche tempo per il ricordo delle tabacchine, e per il canto che, forse più di tutti, le rappresenta se non altro nell'immaginario di un salentino, la serie di strofe sciolte nota sotto il titolo di "'A tabaccara".
La festosità così tipica del gruppo, devo dire che non inficia la riflessione che, inevitabilmente, questo brano porta con sé. Il tamburello, che comunque nei Calanti non è mai sguaiato, qui imita quasi, con il battito forte della mano, il passo delle operaie che soffrono nell'andare al lavoro in quelle condizioni disumane. Il brano, nonostante l'ironia che spesso porta a sottovalutare la musica di protesta del Sud Italia rispetto ai ben più noti e forti canti delle mondine, è un brano dove, tra l'altro si chiede l'allontanamento della capa del magazzino.
Ed ecco una particolarissima interpretazione di "Santu Paulu" che, contrariamente alla versione in studio che inizia a cappella ma direttamente veloce, qui inizia lenta, e diventa veloce con l'entrata dell'armonica, strumento che, ingiustamente, la riproposta sottovaluta.
Nel testo, cosa poco comune perché c'è ormai il mito della donna tarantata, si fa cenno ai casi, meno numerosi ma non per questo assenti, di tarantismo maschile.
Il brano, che ha nell'armonica l'unico strumento solista, continua poi con altre strofe classiche dedicate al tamburello e si conclude con un bellissimo, e più che mai azzeccato, assolo dello strumento in questione. Questo assolo, e ciò dovrebbe servire da lezione a moltissimi, non smette mai di andare a tempo. La terzina, ogni tanto, è semplicemente magari eseguita senza il battito forte, causando leggeri controtempi, che mai impediscono alla gente di tenere il tempo con il piede, evitando, di conseguenza, la deplorevole "batterizzazione" della percussione popolare italiana. E' vero che magari gli strumentisti che usano queste tecniche lo fanno ispirandosi a usi tradizionali in altri paesi, ma è anche vero che, dico io, rivendicare la nostra identità come cultura popolare, ogni tanto non fa mica male.
Ed ecco un brano, che riecheggia gli "Stornelli calabresi" di Profazio, che inizia, come il brano a cui lo si paragona, con i riferimenti alla vigna, che qui, mentre nel calabrese è probabilmente rovinata dalla maleducazione umana, è rovinata dagli animali.
Le strofe sono quasi identiche tra i due brani, ma, spesso lo si dimentica, le strofe popolari migravano con le persone che le sapevano. Il brano dei Calanti è più corto, è non contempla la parte che Profazio dedica ad un tradimento amoroso e alla sua condanna.
Ecco che i Calanti, con "Lu Salentu", ci dànno un esempio di questa loro vena compositiva festosa. Il brano è una pizzica, caratterizzata, come molto repertorio del gruppo, dal terzo accordo, situato una quarta più su rispetto alla tonalità di partenza del brano. Ciò che non mi fa amare molto questo brano, è, probabilmente, la troppa somiglianza che riscontro tra il suo inizio e quello del brano "Mangiafuoco" di Edoardo Bennato, che non mi è mai piaciuto più di tanto.
I Calanti, nei loro brani d'autore, hanno il difetto tipicamente salentino, di sentire come qualcosa di "stretto" la tradizione con le sue pratiche armoniche.
Comunque, subito dopo, arriva una rielaborazione de "Lu scarparu", brano che io conoscevo solo nella versione degli Alla Bua, presente nel già recensito "Stella lucente".
Il brano, come già si è notato nelle altre, però, non è una copia della versione su citata, ha delle strofe diverse e, qui, contrariamente alla versione da studio, non finisce a pizzica.
Siamo arrivati alla nota dolente di ogni concerto di musica popolare salentina che si rispetti, ossia alla "Kali nifta". Qui il brano è veloce e, purtroppo, non conserva assolutamente la sua anima romantica, ma a queste caratteristiche ci sono rassegnata. Il ritornello è portato a pizzica, ma non è esageratamente veloce. Il pubblico, incitato da Daniele Colitti, leader del gruppo, canta il ritornello.
Ecco degli stornelli alla maniera di Uccio Aloisi, meno comune piuttosto che quella che l'anziano cutrofianese chiama "salentina".
Il concerto, come è giusto che sia e come è evidenziato dal leader del gruppo, si chiude con un pezzo dedicato alla "'ngiuria" con cui la famiglia Colitti è conosciuta nel paese, da cui poi il gruppo ha preso il nome.
Non vi parlerò del cd, perché esso è la riproposizione in studio di molti dei brani del concerto.
E' un disco che vi consiglio perché permette di scoprire un gruppo che, pur pretendendo dare un'aria di modernità alla musica salentina, non ne scorda mai le origini.
Buon ascolto!

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