domenica 13 giugno 2010

Commentoalla puntata del 13/06/10 di canzonenapoletana@rai.it.

Carissimi lettori, finalmente si torna a parlare di canzone napoletana in questo blog, con la terza puntata di "canzonenapoletana@rai.it" dedicata a Francesco Fiore (la seconda l'abbiamo saltata probabilmente per colpa mia!).
Si inizia con una canzone intitolata "Chi tene mamma", che ascoltiamo da un cantante particolarmente famoso in America chiamato Gennaro Cardenia. Il brano è uno di quelli mezzi in minore e mezzi in maggiore, dalla struttura "di giacca". E' il monologo di un innamorato arrabbiato con un'innamorata che lo ha lasciato, che si consola pensando a sua madre. E' bellissima e tragica.
Si arriva ad una delle canzoni più famose di Francesco Fiore, intitolata "Nun è Carmela mia". E' interpretata da Tito Schipa, l'usignolo di Lecce, che qui veramente dà il suo massimo, senza mai sfoderare quei colori popolareschi che in ambiente operistico non sono secondo me particolarmente belli. Il brano è un monologo di un innamorato che ritrova la propria amata ma non la riconosce quindi la rifiuta, bella.
Siamo con uno dei musicisti più prolifici della scena napoletana d'inizio secolo: Oscar Cattedra. La musica di questa "Nun sia maje" è caratterizzata da una precisa alternanza di strofe in un "modo minore" arricchito e di un ritornello in un "modo maggiore" altrettanto meticciato con tocchi minori. L'interpretazione che ascoltiamo è quella di Raffaele Balsamo, che riesce veramente a dare l'intensità giusta a questa serenata bella e paradossale.
Continuando si ascolta questa bellissima "Tu si spusata", che si gusta nell'interpretazione di Ciro Formisano, un tenore potente ma aggraziatissimo. Il brano ha la musica di Nicola Valente, ed è la storia di un innamorato che consiglia alla propria ex amata, che lui ancora ama profondamente, di ignorarlo. Il tappeto musicale ha una struttura di "giacca", paragonabile al più noto repertorio della coppia Bovio-Valente come "Brinneso".
Stiamo ascoltando un brano in tempo ternario dal titolo "'A sirena d''e canzone", inno alla napoletanità ed al rapporto profondo che i napoletani hanno con il canto, che si ascolta dalla voce di Giuseppe de Vita. Come in tutto questo repertorio, anche qui si ha il tipico quadro dei cantatori e della cantatrice che si trova davanti al mare affacciata ad un balcone. La voce del cantante è lirica ma è più leggera e l'impostazione non si sente. E' un brano bellissimo, che dimostra come questa città avesse trovato una maniera serena e profonda di raccontarsi in musica che la rende unica.
Per la prima volta devo dire di soffrire, perché questo disco di Salvatore Papaccio che ci permette di conoscere questa sconosciuta "Abbracciate cu mme" è davvero ridotto alla frutta. Il brano nonostante tutto è spassosissimo ed è veramente festoso, anche se del testo non prendo quasi niente. L'interpretazione di Papaccio, come spesso capita e sovente abbiamo qui sostenuto, è un po' esageratamente teatrale. L'allegria del brano, almeno secondo me, non è esattamente rispettata ma queste sono appunto opinioni personali e niente di più. E' comunque un brano molto bello. cantanti moderni, riprendete questi gioielli d'epoca!
E continuiamo a soffrire, se è possibile soffriamo ancora di più di prima. Il brano che si ascolta è molto bello, ma per farcelo ascoltare la Rai sta usando un disco ridotto alla frutta (aiuto!). La canzone si chiama "Parlame e chiagne" ed è interpretata da Ciro Formisano. E' un ritmo binario, eseguito in una tonalità minore con una scala non arricchita, anzi piuttosto semplice, se non fosse per un intervallo di quarta aumentata fortemente arabicizzante. Il ritornello, come è spesso avvenuto in questo repertorio, è più ricco della strofa in quanto i due "modi" convivono. Non mi sembra che questo brano si possa definire triste, anzi è solo romantico. Purtroppo, forse ve l'aspettavate, non sto capendo molto del testo.
E la puntata si conclude con una sofferenza a massimo grado elevata, rappresentata da un brano del 1928 intitolato "Io rido e chiagno". L'interprete è Salvatore Papaccio, che canta con sentimento dei versi dedicati alla madre musicati da Nicola Valente. Anche qui si ritrova quella vicinanza allo stile che molti associamo a certo repertorio sceneggiato di Bovio o anche Pacifico Vento. Il brano comunque è bello e riporta l'atmosfera dei posteggiatori, con il suo semplice accompagnamento mandolinistico. Suona strano questo gruppo cameristico per l'interpretazione del repertorio riconducibile al canto "di giacca", ma non fa un effetto sgradevole, anzi.
E' stata una bella puntata, con un po' di sofferenza ma ogni tanto purtroppo è obbligatoria.

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